Diversi veicoli a quattro (o più) ruote hanno lasciato la Terra per percorrere le “strade” della Luna e di Marte.
Ci avevate mai pensato? A differenza di carri, bighe, cavalli, cammelli, biciclette, treni o qualunque veicolo l’uomo abbia mai usato nella storia, l’automobile è, finora, l’unico mezzo di trasporto ad aver lasciato il nostro pianeta per poi essere guidato su altri corpi celesti. Che tra l’uomo e l’auto ci sia un legame più profondo del semplice rapporto di possesso e utilizzo è ben chiaro a tutti, ma forse non si è riflettuto abbastanza sul fatto che, appena la tecnologia lo ha reso possibile, l’umanità non ha perso l’occasione di portarsi la “macchina” anche su altri pianeti. Una riflessione semi seria, ispirata dalla visita alla mostra Cosmos Discovery, allestita in questi giorni al Guido Reni District di Roma, che presenta al pubblico centinaia di “reperti” dell’esplorazione spaziale tra cui, appunto, i veicoli con ruote che hanno percorso le superfici della Luna e di Marte.
Che tra l’uomo e l’auto ci sia un legame più profondo del semplice rapporto di possesso e utilizzo è ben chiaro a tutti, ma forse non si è riflettuto abbastanza sul fatto che, appena la tecnologia lo ha reso possibile, l’umanità non ha perso l’occasione di portarsi la “macchina” anche su altri pianeti.
Il primo, più noto, e sicuramente più simile alle comuni auto “terrestri”, è stato il rover lunare: una spider a due posti il cui motore è stato acceso per la prima volta il 31 luglio del 1971 per portare a spasso tra i crateri gli astronauti della missione Apollo 15. Vista la relativa facilità di parcheggio e la bassissima percentuale di furti d’auto sulla Luna l’LRV, Lunar Roving Vehicle, venne lasciato a disposizione anche delle missioni successive: Apollo 16 e 17. L’utilità del veicolo era quella di estendere il raggio di superficie lunare esplorabile dai cosmonauti che, altrimenti, si dovevano muovere saltellando goffamente, e di aumentare considerevolmente il carico di rocce trasportabili al modulo di allunaggio che faceva da base.
Nella prima missione del ’71 il lunar buggy, com’era chiamato familiarmente, percorse circa 28 chilometri; in totale il contachilometri si è fermato a circa 90, durante i nove giorni di utilizzo durante le tre missioni: un buonissimo usato, rimasto lassù, a disposizione di chi ne vorrà approfittare. Pur avendo oltre 45 anni, per molti versi l’LRV è un’auto ancora all’avanguardia: intanto è elettrica, con due batterie in argento e zinco che alimentano sei diversi motori con un totale di appena 200 watt. Motori diversi per funzioni diverse: azionare le quattro ruote in maniera indipendente e muovere lo sterzo, tanto sull’asse anteriore che su quello posteriore. Due posti (scomodi) per gli astronauti e un “bagagliaio” per le rocce capace di caricare 490 chili. Pochi fronzoli: sedili di tela intrecciata; nessuna carrozzeria (inutile senza l’atmosfera); ruote di alluminio con pneumatici di tessuto rivestito di zinco e fibre d’acciaio. Nessun volante: il guidatore agisce su una sorta di joystick che comanda motori e freni meccanici. Velocità massima: 13km/h; non molto, ma senza attrito, e senza traffico, sarebbe sicuramente preferibile a un lunedì mattina in tangenziale.
Ancor più fedele al concetto di “auto – mobile” fu il Lunochod, il rover lunare sovietico. I russi non sono mai riusciti a mandare uomini sulla Luna, ma un’automobile si, anche se il mondo l’ha saputo soltanto diversi decenni dopo, alla caduta dell’URSS. Il Lunachod è un veicolo che lavora senza equipaggio. È allunato nel gennaio del 1973 ed ha iniziato a muoversi sulle sue otto ruote alla ricerca di campioni di rocce da imbarcare e riportare sulla Terra. Il corpo centrale del mezzo è essenzialmente un grande contenitore, dove sono alloggiati i motori elettrici, un telescopio a raggi x, un apparecchio fotografico, uno spettroscopio per analisi chimiche della superficie, un apparecchio radio per le comunicazioni con la Terra, i sistemi di guida, un radiatore per la termoregolazione. Le otto ruote permettono al Lunochod di procedere avanti, indietro, in circolo e anche di slittare in curva. Ma la caratteristica più sorprendente è il “coperchio” della vettura, che di notte veniva chiuso per proteggere l’interno dal freddo siderale, mentre di giorno si apriva rivelando i pannelli solari che caricavano le batterie.
Sono quelli meno simili a un’auto, ma sono anche i veicoli su ruote arrivati più lontano nell’universo: Opportunity e Spirit, i due rover marziani. Un metro e mezzo di lunghezza e poco più di due metri di larghezza i due rover gemelli hanno raggiunto il pianeta rosso nel gennaio del 2004 ed hanno iniziato a muoversi sulle loro sei ruote alla ricerca di campioni di terreno. Ovviamente niente abitacolo e neanche un contenitore per rocce da riportare sulla Terra: il viaggio di ritorno non è contemplato. I robot hanno telecamere e fotocamere per visualizzare i dintorni e un braccio meccanizzato per raccogliere rocce da analizzare sul posto; il tutto alimentato dai molteplici pannelli solari che ne caratterizzano la “carrozzeria”. Anche i due MER (Mars Exploration Rover) dunque si muovono con motori elettrici, alimentati da fonte rinnovabile: il sole. Un movimento lento, comunque: la velocità massima dei due rover è di soli 180 metri l’ora; non proprio un bolide ma, a riprova del vecchio adagio che “chi va piano va sano e lontano”, nonostante fossero programmati per smettere di funzionare dopo appena tre mesi, Spirit è andato avanti fino al 2010, mentre Opportunity, dalla parte opposta del pianeta, è ancora in attività… 14 anni dopo la prima “messa in moto”!