“Essere scaramantici è da ignoranti, ma non esserlo porta male” diceva il grande Peppino De Filippo. Per cui, essendo venerdì 17, oggi prendere qualche precauzione non guasterebbe, discorso che rivolgiamo soprattutto a chi si mette alla guida. Sono tanti infatti i riti e i piccoli gesti che adottano gli automobilisti per evitare di essere colpiti dal malocchio. Gesti che talvolta ognuno di noi compie, senza neppure sapere perché: maledire un gatto nero che attraversa la strada, appendere cornetti, quadrifogli, peperoncini, ferri di cavallo, e chi più ne ha più ne metta agli specchietti, corna e toccatine varie. Ma perché facciamo tutto questo?
È credenza popolare che il numero 17 preannunci sventure,e quindi c’è chi evita di viaggiare in tal data, e per quanto nella cabala ebraica rappresenti un segnale propizio, e nella cultura oltreoceano sia considerato un numero neutro, le ragioni di questa funerea tradizione sono svariati. In primis, matematiche. Il 17 si trova in mezzo al 16 e al 18, numeri perfetti per descrivere i due quadrilateri più importanti: 4×4 (quadrato) e 3×6 (rettangolo). Il secondo motivo ha carattere storico: nell’anno 9, infatti, la legione romana numero 17 venne annientata dai germani. Infine, la spiegazione religiosa: il diluvio universale sarebbe avvenuto nel giorno 17 del secondo mese; inoltre, Gesù muore di venerdì, ed ecco la disgraziata associazione fra numero e giorno.
C’è poi un’altra spiegazione, tutt’altro che scientifica, ma non per questo meno potente. Nella smorfia napoletana, il17 è il numero della disgrazia, o meglio, r‘adisgrazia!.
Anche i gatti neri non hanno buona nomea fra i guidatori di tutto il mondo. Questo perché la loro presenza a bordo delle navi pirata, motivata da un’implacabile efficacia nella caccia ai topi, associava i felini alla presenza dei pirati, notoriamente portatori di barbarie e saccheggi. A discolpa dei nostri amici a quattro zampe, va detto che, nel 1735, il re del Regno di Napoli Carlo di Borbone, emanò una legge a Procida, dove dichiarava fuorilegge tutti i gatti dell’isola, essendo nemici dei fagiani, i volatili da lui prediletti, da accanito cacciatore qual era. L’effetto di questa sentenza fu drammatico: i topi invasero l’isola, e una sera, leggenda narra, divorarono un bimbo nel sonno. Questo scatenò la protesta degli abitanti del luogo, e i gatti tornarono a presenziare l’isola.
Per chi appende ogni genere di cianfrusaglia agli specchietti, è noto infine che il peperoncino sia sinonimo di fertilità e prosperità, ma meno conosciuta è la storia del ferro di cavallo. Leggenda più che storia: pare che Saint Dunstan, fabbro e arcivescovo di Canterbury, nel 959 avesse inchiodato dei ferri di cavallo agli zoccoli del diavolo, dopo che questi gli ebbe chiesto di ferrare il suo fido equino. Ciò provocò grande dolore al diavolo, così il porporato acconsentì a togliergli i ferri, ma ad una condizione: quella di non entrare nelle case dove fosse presente un ferro di cavallo.
Fra storia e leggenda ecco spiegato il perché di alcune credenze popolari sulla percezione della sfortuna e sulle precauzioni da prendere per combatterla. Che ci crediate o no, stando a Peppino, forse sarebbe più prudente passare da ignoranti, per cui, anche oggi: occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, e buona guida a tutti.